Il film Le mani sulla città, Leone d’oro alla XXIV edizione del Festival del Cinema di Venezia, è considerato il capolavoro del regista napoletano Francesco Rosi. Un’opera di denuncia che ancora oggi appare incredibilmente attuale.
Rosi si forma alla scuola del Neorealismo, lavorando nel 1948 come aiuto regista ne La terra trema di Luchino Visconti. In questo film del 1963, fonde narrazione e realtà: nel cast troviamo attori professionisti come Salvo Randone e personaggi reali come Carlo Fermariello, sindacalista e partigiano. Ma a dominare la scena è il personaggio di Edoardo Nottola, imprenditore senza scrupoli interpretato da Rod Steiger, vera incarnazione della speculazione edilizia.
Una città fragile come il cartone
Napoli, in quegli anni, è quella che l’onorevole Valenzi definirà “città di cartone”: non solo per la fragilità statica dei palazzi, ma per la precarietà dell’esistenza dei suoi abitanti. Il nome Nottola, scelto da Raffaele La Capria, evoca il pipistrello predatore: figura emblematica di un capitalismo famelico e opaco.
Indimenticabile la scena in cui Nottola dà le spalle alla città: sullo sfondo, le rovine di via Marina contrastano con il grattacielo di via Medina, costruito dopo l’abbattimento del Rione Carità. Un esempio perfetto di espropri mascherati, vendite sottocosto, clientelismo e voto di scambio.

Un’indagine che porta al nulla di fatto
Il film si apre con una carrellata sulla campagna flegrea: si discute su come aggirare il piano regolatore per trarne profitto. Poco dopo, il crollo di un edificio causato da lavori sconsiderati fa emergere il dramma.
La scena si sposta nella Sala dei Baroni, sede del Consiglio comunale. Un membro dell’opposizione chiede un’indagine, ma sarà solo la prossimità delle elezioni a renderla possibile. La commissione si chiuderà senza colpevoli, e Nottola sarà premiato con un assessorato: simbolo di un sistema che premia i carnefici e ignora le vittime.
La Napoli Laurina: un modello di degenerazione
Il film si fa manifesto contro la “Napoli Laurina”: populismo d’accatto, clientele, impunità, comizi a pagamento e appalti truccati. Rosi dipinge l’anima più nera della città: i lupi travestiti da agnelli che l’hanno sfigurata.
Gerardo Marotta e il vuoto culturale della politica napoletana
Nel luglio 2014, a seguito della morte di un passante per il crollo di calcinacci dalla Galleria Umberto I, il filosofo Gerardo Marotta rilascia un’intervista durissima. Cita Benedetto Croce: dopo l’eccidio degli intellettuali del 1799, il pensiero politico è stato estirpato da Napoli, sostituito da capibanda trasformati in classe dirigente.
Marotta dichiara:
“È rimasto un sacco di stracci. La classe che governa Napoli è la discendente ideale di quei capi briganti.”
E, con amarezza:
“Napoli crolla perché c’è una classe dirigente che non sa cosa significa mettere un chilo di calce.”
L’allora sindaco De Magistris rispose con indignazione, ma senza veri argomenti. Come cantava De André:
“Si costerna, s’indigna, s’impegna… poi getta la spugna con gran dignità.”
Oggi la storia si ripete
È passato un altro decennio. E sul fronte delle catastrofi causate dalla speculazione edilizia poco o nulla è cambiato. Le mani sulla città resta un’opera imprescindibile: non solo un film, ma uno specchio.
Oggi come allora, i segnali d’allarme ci sono. E sono più chiari che mai.
Nei Campi Flegrei il bradisismo è tornato a farsi minaccioso. Più di 100.000 persone vivono tra due vulcani attivi, il Vesuvio e il supervulcano flegreo. Un territorio fragile, che dovrebbe essere oggetto di attenzione, prevenzione, rigenerazione ambientale.
E invece? Si vara una nuova variante al piano urbanistico per Napoli Est. Milioni di euro in arrivo, e milioni di metri cubi di cemento in progetto.
In una città che ha già il numero più basso di metri quadri di verde pubblico per cittadino d’Europa, si costruisce sotto l’altro vulcano: quello esplosivo, il Vesuvio.
Un paradosso che racconta meglio di mille convegni il fallimento politico e culturale di un’intera classe dirigente.
L’urbanistica a Napoli continua ad essere l’arte dell’azzardo, e la cittadinanza un effetto collaterale.
Ieri come oggi, a pagare il prezzo saranno sempre gli stessi.
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