Giuseppe Sanmartino e il mistero del velo
Giuseppe Sanmartino (1720-1793), protagonista indiscusso della scultura napoletana del Settecento, raggiunse l’apice della sua arte con il Cristo velato, scolpito nel 1753 per la Cappella Sansevero. L’opera, commissionata dal principe Raimondo de Sangro, offre un’esperienza visiva e spirituale senza eguali: il velo di marmo avvolge il corpo di Cristo con tale delicatezza che sembra vibrare fra luce e ombra, quasi un invito al mistero della carne che ritorna alla pietra e alla pietra che cerca la vita.
La Cappella Sansevero: simboli e sapere esoterico
La trasformazione della cappella gentilizia nell’attuale mausoleo fu opera del principe Raimondo de Sangro, settimo principe di San Severo, figura poliedrica e controversa: massone d’alto grado (Gran Maestro e fondatore della Loggia napoletana), alchimista e filosofo. Nell’architettura e nelle sculture, voleva lasciare un messaggio esoterico: il velo che ammanta Cristo diventa metafora del velo di Iside, il segreto della verità nascosta, e al tempo stesso del sudario che separa la vita dalla morte. Qui l’arte si fa dottrina: il velo di marmo richiama il velo del tempio squarciato al momento della morte del Redentore, profezia escatologica del rovesciamento dei tempi.
Tra arte, fede ed escatologia
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù annunzia ai discepoli:
“Per un poco mi vedrete, poi non mi vedrete più; ancora un poco, e mi vedrete” (Gv 16,16).
Questo verso riverbera nelle pieghe del velo di Sanmartino. L’“apparire e scomparire” diventa esperienza escatologica: la comparsa di Cristo tra i vivi, la sua sparizione nella morte, e infine la sua visione definitiva nella resurrezione. Il velo marmoreo trasmette l’attesa della nuova alleanza, dell’incontro finale in cui il confine tra visibile e invisibile si dissolverà.
Il capolavoro massonico di Raimondo de Sangro
Dietro la maestria di Sanmartino s’intravede la regia del committente massone. Raimondo di Sangro volle che la statua fosse letta come un trattato in pietra: ogni piega del sudario richiama il percorso iniziatico, l’ascesa dal buio dell’ignoranza alla luce della conoscenza. Gran Maestro, egli intese esprimere con l’arte scultorea la dottrina massonica dell’elevazione spirituale, simboleggiata dal passaggio attraverso il velo, che non è semplice barriera ma soglia verso l’oltre.
La grandezza di Sanmartino nel Settecento napoletano
Sanmartino seppe armonizzare la tradizione barocca e rococò con apporti europei, fondendo realismo caravaggesco e idealizzazione classica. Nel Cristo velato, il marmo di Carrara diviene tessuto, carne, grido silenzioso, testimonianza della volontà umana di dare forma al divino. La scultura non è solo esercizio tecnico: è meditazione sulla fragilità dell’uomo e sul mistero della redenzione.
Eredità e fascinazione contemporanea
Il velo di pietra continua a stupire viaggiatori, studiosi e artisti. Nel corso del Grand Tour Johann Gottfried Herder lo definì la visione più bella della vita; il Marchese de Sade elogiò la finezza dei drappeggi. Oggi il Cristo velato ispira creativi come Jago, Mimmo Jodice e Zilda, portando avanti l’eredità di un dialogo fra arte, fede ed esperienza iniziatica. In ogni piega del velo si rivela il desiderio di attraversare la morte per incontrare l’invisibile, fino al giorno in cui, finalmente, per un poco lo vedremo, e poi non lo vedremo più.
