Illustrazione d’apertura – Un altro Natale senza pace.
Il deserto e l’attesa
In una landa di deserto spazzata dal vento, una bandiera mezza strappata sventola sul pennone intriso dell’odore acre dell’olio da fucili. Da lontano potrebbe sembrare un panno da cucina dimenticato da una massaia povera e premurosa; eppure rappresenta una frase che ancora pesa sulla storia: «una terra senza popolo per un popolo senza terra». Una lucertola si infila nelle crepe di un muro eroso, fa appena capolino per catturare una mosca ronzante. Attorno, qualche ligustro impolverato crea una macchia di verde scuro nell’ocra dominante del paesaggio lunare.
Accanto a un container adibito a garitta, una sentinella imbraccia un Tavor TAR-21. Il rivolo dello scarico del condizionatore gli imbratta l’anfibio color sabbia. Poco distante, un altro soldato – tuta anti-esplosione, elmetto, movimenti lenti – controlla i viaggiatori del check-point improvvisato. Nell’ingombro dell’equipaggiamento sembra più un astronauta smarrito che un riservista ventenne alla frontiera. Tutto apparirebbe immobile, sospeso, se il vento non scuotesse le divise ridisegnando ogni istante le dune.
In lontananza un riverbero del sole rifrange due sagome scure in controluce. Camminano verso il vecchio pozzo delle carovane. Mancano due chilometri al posto di guardia, ma i ragazzi sentono già l’adrenalina. Pochi giorni prima un loro compagno è stato ucciso da un attentatore esploso al grido di Allah Akbar. Da allora il pomeriggio pesa come piombo.
La visione impossibile
Il soldato con la tuta anti-bomba alza il binocolo.
«Due soggetti. Maschio, un metro e settantacinque circa. Donna giovane, minuta. Entrambi con kefiah.»
«Profughi? Coloni?» sbuffa l’altro, asciugandosi la fronte. «Massima attenzione.»
Il vento sferza ancora le loro vesti larghe, facendoli sembrare due ombre meridiane. Il fuciliere sta per intimare l’alt, quando una voce calma – impossibilmente chiara, nonostante la distanza – lo precede: «Non temere. Siamo pellegrini in cerca di riparo.»
I due si scambiano uno sguardo incredulo. Non dovrebbero sentirla così. Il vento si placa un istante e i loro volti appaiono nitidi. L’uomo ha barba grigia e occhi sereni. La donna è giovane, dolce, e posa una mano sul ventre. Il soldato sente un brivido: sembrano Giuseppe e Maria in viaggio verso Betlemme.
«Figliolo, lasciaci passare» ripete la voce. «Non abbiamo armi. Cerchiamo solo un luogo dove far nascere nostro figlio.» Il soldato vede davvero quel ventre arrotondato, lo sguardo pieno di amore e di speranza. Qualcosa gli si scioglie dentro, una pace mai provata. Abbassa il fucile.
«Shalom aleichem. Andate…»
Li vede allontanarsi, seguiti dagli occhi della stessa lucertola. Il compagno lo osserva senza capire. «Perché qui?» sussurra il fuciliere. «Perché in questa terra sempre insanguinata?» Nessuna risposta. Solo una luce nel cielo, più chiara del sole. Sembra una stella. Il soldato lascia il fucile nella sabbia e corre verso di loro. Vuole raggiungerli, chiedere un senso al dolore. Ma la distanza non si riduce. Il respiro gli si spezza, le gambe cedono. Cade in ginocchio. E i due pellegrini svaniscono all’orizzonte.
Il risveglio e la verità
«Mi senti, figliolo? Apri gli occhi.» Due schiaffi lo richiamano alla realtà. Rumori di armi, monitor, urla. Una luce pallida vibra sul tendone dell’ospedale da campo. L’odore a metà fra disinfettante e sangue gli riempie le narici.
Un uomo in camice, barba bianca corta, lo osserva.
«Sei al sicuro.»
«Cosa… è successo?»
Il medico sospira.
«Ti sei salvato. Il tuo compagno no. Un vecchio e una ragazza si sono fatti esplodere al check-point.»
Il soldato guarda il proprio riflesso sull’erogatore di morfina. La delusione gli pesa negli occhi. Aveva sperato che quella visione fosse vera, che un Natale diverso – un Natale finalmente di pace – potesse nascere proprio lì, dove la pace non nasce mai. Ma il deserto fuori, indifferente, rimane un immenso campo di lutti. Un altro Natale senza pace.
In molte culture il Natale non è solo un simbolo di serenità, ma di precarietà. Giuseppe e Maria sono, nella loro essenza, due viandanti in cerca di riparo, due rifugiati ante litteram che attraversano un mondo violento già nei Vangeli. Ambientare questa storia nella tensione del conflitto mediorientale non è una provocazione: è riportare la nascita della speranza nella stessa condizione di fragilità in cui è nata. Un altro Natale senza pace, in una terra che della pace porta il nome ma non la realtà.
Per capire come si è arrivati a questa spirale di guerre, rimandi e recriminazioni, può essere utile la lettura dell’analisi Treccani sulla nascita ed evoluzione del conflitto arabo-israeliano . Uno sguardo di insieme che aiuta a contestualizzare non solo questo racconto, ma il nostro presente.



