
Nel 1982, Pino Daniele scriveva Notte che se ne va, una poesia urbana mormorata alla città, in una Napoli notturna popolata da fantasmi reali: quelli dei cartonari, dei solitari, degli insonni, degli illusi e dei disillusi. Una notte che non è solo tempo, ma condizione esistenziale, sfondo collettivo di un’umanità che si trascina tra sogni interrotti e attese che si fanno sempre più vuote. Eppure, quella notte malinconica e stratificata ci parla ancora oggi, in un tempo che sembra aver perso del tutto la bussola.
Guardando fuori dalla finestra di questo presente, nel 2025, le parole di Pino risuonano con una nuova ferocia. Quelle che allora erano le voci di una realtà nazionale, oggi sono diventate grida globali. La guerra in Medio Oriente e in Ucraina è tornata a essere quotidianità, un sottofondo continuo di notizie e immagini che anestetizzano l’anima. Ogni nuova escalation, ogni missile, ogni funerale ripreso in diretta è un ulteriore passo verso il disumano, verso una “notte” che sembra voler inghiottire il giorno senza lasciar scampo.
E cosa dire dei nostri figli? Di una generazione che cresce nel rumore confuso dei social, tra messaggi effimeri e rabbie trattenute a stento? Giovani che si affacciano a un futuro più incerto che mai, bombardati da stimoli continui e incapaci — per mancanza di strumenti, di esempi, di spazi reali — di dare un senso profondo al proprio esistere. La violenza giovanile, le risse filmate, le sfide pericolose su TikTok non sono altro che un urlo muto, disperato, in cerca di un contatto che non arriva.
Pino scriveva:
“Notte ‘e chi fuma sempe
Pecché ‘o tiempo adda passà”
Una frase che oggi potrebbe essere tatuata sul cuore di tanti. Viviamo in attesa che il tempo passi, anestetizzati, distratti, spettatori passivi di un mondo che affonda nel ridicolo e nella superficialità. La rete, da strumento di connessione, è diventata un acceleratore di vuoto. Tutto è opinione, tutto è leggerezza, tutto è “story”. E intanto il mondo si decompone nell’indifferenza.
Abbiamo perso il gusto della profondità. I sentimenti sono diventati “silentimenti”, esibiti quando servono, negati quando fanno troppo rumore. E le parole come giustizia, solidarietà, verità, sono state svuotate e riciclate in slogan da campagna elettorale. La democrazia stessa, fragile e stanca, è sotto attacco in ogni angolo del mondo: le urne producono mostri, non perché la gente sia cattiva, ma perché è smarrita. E quando il popolo si smarrisce, vota il rumore più forte, la paura più semplice.
“Notte ‘e chi sta pensanno a Dio
‘E chi se venne a vita mia”
Così canta ancora Pino, e quel pensiero rivolto a Dio oggi è una preghiera strozzata, confusa, forse laica, forse solo umana. Una richiesta d’aiuto lanciata nel vuoto. Chi ci salverà da questo baratro? Quale coscienza collettiva potrà mai rinascere da ceneri tanto disperse?
Siamo entrati in una notte lunga. Una notte che attraversa i Paesi, le classi sociali, le generazioni. E mentre i padri guardano i figli con timore per ciò che li attende, mentre la realtà deraglia e il futuro appare sempre più irreale, resta il dovere di ricordare — come ammoniva Shakespeare per bocca di Marcello — che “something is rotten in the state of the world”.
Il mondo è uscito dai cardini, e povero l’uomo che dovrà rimetterlo in sesto. Ma forse, proprio da questa notte che sembra non finire, nascerà una nuova alba. Forse proprio nei pensieri di chi ancora sta pensanno a Dio, in chi non si è venduto la vita, c’è il seme di una resistenza silenziosa ma potente.
Eppure, nonostante tutto, quella notte cantata da Pino non è disperata. È una notte consapevole. Non giudica, racconta. E nel farlo ci invita a restare vigili.
“Notte che vene, notte che va
Esce stu’ juorno a chi amma aspettà”
Questa frase è una soglia: la notte scorre, ma il giorno potrebbe ancora arrivare. Non è scontato. È una possibilità. Dipende da chi aspettiamo — e da cosa siamo disposti a fare per meritare quel giorno.
Perché finché esisteranno poesie come quella di Pino, finché ci saranno voci capaci di raccontare il dolore con verità e bellezza, non tutto sarà perduto.
[…] Era una città stanca e bellissima, ferita e fiera, con il cuore spezzato e il sangue caldo. E nel suo sangue scorreva una colonna sonora precisa: la voce di Pino Daniele. […]