Nel panorama teatrale italiano del Novecento, poche figure incarnano con tanta intensità e autenticità lo spirito napoletano quanto Luisa Conte. Nata a Napoli il 27 aprile 1925, la sua vita artistica è stata un inno alla resilienza, alla passione e alla dedizione assoluta per la scena. Figlia di una famiglia legata al mondo dello spettacolo — la nonna ballerina al San Carlo, lo zio attore — Luisa si avvicina al teatro giovanissima, in un contesto segnato da difficoltà economiche che non ne scalfiscono la vocazione.
L’incontro con Eduardo: il battesimo del fuoco
Il destino teatrale di Luisa Conte si compie quando viene scritturata da Eduardo De Filippo, maestro indiscusso della drammaturgia italiana. Con lui perfeziona le sue doti recitative e interpreta ruoli memorabili in opere come Miseria e nobiltà, Non ti pago, La grande magia e Le voci di dentro. Eduardo, che considerava il teatro come “una casa dell’anima”, trova in Luisa una interprete capace di dare corpo e voce alle sue visioni. La sua Bettina in Miseria e nobiltà è ancora oggi ricordata come una delle più intense incarnazioni del personaggio.
Il Teatro come missione: il Sannazaro
Negli anni ’70, Luisa Conte si dedica alla rinascita del Teatro Sannazaro di Napoli, che diventa il suo regno artistico. Con il marito Nino Veglia, lo restituisce alla città come luogo vivo di cultura, dove si alternano testi di Antonio Petito, Raffaele Viviani, Paola Riccora e Gaetano Di Maio. Il suo impegno non è solo artistico, ma anche civile: il teatro diventa spazio di memoria, identità e resistenza culturale.
Brecht e la coscienza dell’attore
Se Bertolt Brecht sosteneva che “l’attore non deve semplicemente sentire, ma far pensare”, Luisa Conte ha incarnato questa lezione con naturalezza. La sua recitazione non era mai compiacente, ma sempre tesa a svelare le contraddizioni dell’animo umano. In questo senso, il suo teatro si avvicina alla funzione brechtiana di “specchio critico” della società, pur restando radicato nella tradizione partenopea.
L’interpretazione indimenticabile: “Arezzo 29 in tre minuti”
Tra le vette più alte della carriera di Luisa, spicca la sua struggente e irresistibile interpretazione in Arezzo 29 in tre minuti, commedia di Gaetano Di Maio, con al suo fianco l’immenso Nino Taranto nei panni del marito. Il personaggio di Luisa, una usuraia che non ha mai avuto figli, si ritrova per un equivoco a diventare madre di un neonato. In un gesto di amore disperato, vende tutto ciò che possiede per “acquistare” il bambino da un padre camorrista e da una madre prostituta. Quando l’uomo, arrogandosi il diritto di sangue, pretende ancora denaro, Luisa esplode in una battuta che è diventata leggenda: «Canteniè, a quanto costa ‘o litro ‘stu sanghe?!» — urlata con tale intensità da provocare nel pubblico una commozione profonda, fatta di risate e lacrime. Risate per la sua maestria scenica, lacrime per chi conosceva il dolore silenzioso di una donna che nella vita non aveva potuto essere madre. Eppure, quel vuoto Luisa lo ha colmato con un amore smisurato per il suo pubblico, che ha coccolato e confortato come figli ideali, attraverso ogni battuta, ogni gesto, ogni sguardo. In quel momento, il teatro non era più finzione: era verità, era vita, era Luisa.
Una voce che resta
Luisa Conte muore il 30 gennaio 1994, mentre ancora lavorava a nuovi progetti. Ma la sua voce, il suo gesto, la sua presenza scenica continuano a vivere nel ricordo di chi ha avuto il privilegio di vederla recitare. Napoli le ha dedicato un largo nel quartiere Chiaia, e a San Martino Valle Caudina l’anfiteatro cittadino porta il suo nome: segni tangibili di un’eredità che non si spegne.
In un’epoca in cui il teatro rischia di essere marginalizzato, la figura di Luisa Conte ci ricorda che l’arte scenica è ancora capace di parlare al cuore e alla mente. Come direbbe Eduardo: “Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita.” E Luisa Conte, con la sua arte, quel senso lo ha cercato e donato, ogni sera, sotto le luci del palcoscenico.
