Il fiume Sebeto: storia, mito e scomparsa

Quando nel 328 a.C. Roma assediò Neapolis, nell’ambito delle guerre sannitiche (non puniche, come spesso si crede), il generale Publio Filone scelse di stabilire il proprio accampamento militare alla foce del fiume Sebeto. Una decisione strategicamente vincente: il Sebeto, che allora attraversava l’intera città greca, sfociava in mare in due punti molto distanti tra loro. In questo modo, l’accampamento risultava naturalmente protetto dalle acque, e presidiando entrambe le foci si poteva bloccare ogni rifornimento alla città, sia via mare che via terra.

Ma dove scorreva esattamente questo fiume oggi scomparso? E che fine ha fatto il Sebeto?

Il corso del Sebeto nella storia

Secondo l’ipotesi più accreditata dalla storiografia, il fiume Sebeto nasceva dalla sorgente detta “della Bolla”, situata alle pendici del Monte Somma. Scendeva a valle attraversando i territori degli attuali comuni di Casalnuovo, Casoria e Volla, raccogliendo lungo il percorso numerosi affluenti alluvionali provenienti da Capodimonte, Capodichino, dalla collina di Fonseca e dal Vomero.

Il fiume si divideva infine in due rami principali:il primo sfociava nei pressi dell’attuale Piazza Municipio (all’epoca molto più vicina alla linea di costa);il secondo, più orientale, nei pressi dell’attuale Ponte della Maddalena.Il tratto orientale era così impetuoso da aver dato, secondo alcuni, il nome stesso al fiume. Sebeto deriverebbe dal greco Sepeithos, cioè “impetuoso”.

Dal Medioevo alla scomparsa

Già nel XIII secolo, il ramo occidentale del Sebeto si era ridotto a un fiumiciattolo. Documenti angioini attestano che quest’ultimo veniva utilizzato come canale di scolo dalle numerose attività artigianali — fabbri, balestrai, conciatori — impiantate in zona dai sovrani provenzali.Nel 1331, in una lettera del Petrarca al cardinale Colonna, si segnala che il tratto ovest era già scomparso, interrato per permettere la costruzione delle banchine del nuovo porto angioino.

Rimase vivo solo il ramo orientale, che segnava anche il confine fiscale della città. Nella mappa del Duca di Noja del 1775, si nota come lungo questo tratto sorgessero ancora numerosi mulini alimentati dalle sue acque: il molino Inferno, il molino dei Salici e quello delle Carccioffole.

Un fiume cantato dai poeti

La zona attraversata dal Sebeto era tanto suggestiva da ispirare molti poeti. Basile, Pontano e soprattutto Jacopo Sannazzaro lo celebrano come

  • “luogo ameno e di delizia, ove ancor si può ascoltare il canto delle ninfe silvane”.

Forse, proprio a partire da questi versi, si è costruito il mito greco legato al fiume.

Il mito di Sepeithos, Vesevo e Leucopetra

La leggenda narra che Sepeithos, figlio di Poseidone, e Vesevo, figlio di Efesto, fossero due giovani amici, irruenti e competitivi. Un giorno, tuffandosi in mare, scorsero una figura luminosa distesa sull’arenile: era Leucopetra, una bellissima ninfa marina. Entrambi se ne innamorarono e si lanciarono in mare per raggiungerla.La ninfa, spaventata, invocò l’aiuto di Zeus, che per proteggerla la trasformò in uno scoglio bianco (leucopetra, appunto), ancora oggi visibile tra San Giovanni a Teduccio e Portici. Zeus punì i due giovani: Vesevo fu trasformato in vulcano, che da allora erutta lava e cenere nel disperato tentativo di toccare la ninfa pietrificata; Sepeithos divenne un fiume, condannato a rimirarla da lontano, per l’eternità.

Il Sebeto oggi: scomparso ma non dimenticato

Il Sebeto, come entità geografica, è scomparso. Prosciugato, deviato o interrato sotto una città cresciuta disordinatamente negli ultimi due secoli. Ma la sua memoria è rimasta viva nella storia, nella poesia e nel marmo.

La Fontana del Sebeto, scolpita nel 1635 da Cosimo e Carlo Fanzago per il viceré Emanuele Zunica y Fonseca, celebra ancora oggi il mito del fiume. Un tempo collocata alla sommità di via Cesario Console — da cui poteva “guardare” il mare della sua amata Leucopetra — oggi la fontana si trova a largo Sermoneta, privata perfino di quel simbolico sguardo.

Fiume Sebeto
Fiume Sebeto- disegno di Antonio Nacarlo
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