Un antieroe argentino con il cuore napoletano
Cento anni fa nasceva Bruno Pesaola. Piccolo di statura, immenso nel cuore, argentino d’origine e napoletano d’adozione. Lo chiamavano il Petisso (piccoletto), eppure in campo e in panchina sembrava più alto di tutti. Non era un eroe senza macchia, ma un antieroe romantico, degno dei romanzi di Osvaldo Soriano: uomini veri, che non vincono sempre, ma non smettono mai di combattere, con una sigaretta accesa tra le dita e un amore infinito per il calcio.
Arrivato a Napoli negli anni ’50, Pesaola scelse la città come la sua seconda patria. La capì nella sua complessità: luminosa e contraddittoria, capace di grandi entusiasmi e di dolori profondi. In campo portava grinta e classe; in panchina trasmetteva passione e saggezza, con quella mite rudezza che solo i grandi uomini sanno avere.
Il ricordo di un incontro indimenticabile in ospedale
Ho avuto il privilegio di incontrarlo poco prima che ci lasciasse. Entrai in ospedale con la trepidazione di chi va a salutare un familiare. Bruno mi accolse con quello sguardo che conoscevamo tutti: mite e rude allo stesso tempo, capace di mettere in riga e di abbracciare con un solo silenzio.
Non aveva più la voce roca e potente dei giorni di gloria, ma gli occhi parlavano per lui. In quegli occhi c’era ancora tutta Napoli: i vicoli, le piazze, il mare, lo stadio. Mi fece un sorriso stanco e mi chiese del Napoli, come se la squadra fosse ancora la sua famiglia da proteggere. Io, tifoso azzurro dal ventre di mia madre, sentii il peso e l’onore di quella confidenza: era come condividere con lui l’ultimo scampolo di un sogno.
Bruno Pesaola e l’eredità che vive ancora oggi
Pesaola non fu un santo, non fu un mito irraggiungibile. Fu uno di noi, ed è per questo che Napoli lo amò senza riserve. In panchina, avvolto nello scaramantico cappotto di cammello anche in estate, fumava sigarette come fossero preghiere. Pesaola ci ha insegnato, con i suoi gesti e con la sua vita, che la grandezza si misura non con i trofei, ma con la capacità di rimanere umani.
A cent’anni dalla sua nascita, Bruno è ancora con noi. Vive nei cuori, nelle chiacchiere da bar, nei racconti dei tifosi che tramandano il suo nome ai più giovani. Ma soprattutto vive nell’idea che amare il Napoli non significhi solo guardare le classifiche, ma condividere un sentimento che lega una città a una maglia come a un destino.
Grazie, Petisso.
Perché Napoli non dimentica chi l’ha amata senza chiedere nulla in cambio.

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