La teriaca napoletana

l’antico rimedio universale tra mito, medicina e alchimia: storia, curiosità e leggende della panacea.

Negli ultimi anni abbiamo affrontato un nemico invisibile che ha messo a dura prova le nostre difese: un virus che ha mietuto vittime e cambiato radicalmente la vita quotidiana. Le armi che la scienza ci ha fornito, soprattutto nei primi tempi, apparivano fragili, più simili a rudimentali fionde che a veri fucili d’assalto.

Vaccini sperimentali, tamponi molecolari, mascherine, disinfettanti. Nonostante la loro apparente inadeguatezza, questi strumenti si sono rivelati indispensabili per resistere. Oggi, con i contagi in declino, ci siamo lasciati un po’ andare, abbassando le difese.

teriaca napoletana
Albarello di Teriaca napoletana – disegno di Antonio Nacarlo

La paura continua

Eppure un recente sondaggio OXE testimonia come, nella popolazione, resti viva l’angoscia di un nuovo ritorno del contagio. È una paura che convive con la speranza riposta nei progressi scientifici, la stessa che ha accompagnato l’uomo in ogni epoca della storia.

Guardando indietro scopriamo infatti che l’umanità ha sempre cercato panacee universali contro il male, spesso in un equilibrio fragile tra scienza e magia. Una delle più celebri è la Teriaca, un farmaco leggendario che a Napoli trovò un terreno particolarmente fertile.

Le origini della Teriaca

La Teriaca (dal greco thēriakē, antidoto) era un composto ricchissimo, una sorta di elettuario che mescolava estratti vegetali, sostanze minerali e persino parti animali, il tutto amalgamato con miele. Le sue origini risalgono al I secolo a.C., quando Mitridate VI, re del Ponto, temendo di essere avvelenato dai nemici, incaricò il suo medico di corte Crateva di preparargli un rimedio capace di immunizzarlo da ogni tossico. Da quel momento la ricetta, nella sua costante evoluzione, percorse la storia europea.

Il farmaco dei Cesari

Arrivò a Roma dopo la conquista del regno del Ponto da parte di Pompeo, fu perfezionata dal medico di Nerone Andronico, che vi aggiunse la carne di vipera, e divenne un farmaco di cui lo stesso Galeno consigliava l’assunzione regolare all’imperatore Marco Aurelio. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente la Teriaca si fece rara, perché molti dei suoi ingredienti provenivano dalle lontane contrade d’oltremare, ma ritornò in circolazione a partire dall’XI secolo, grazie alle vie commerciali riaperte dagli Arabi. Avicenna, nel suo celebre Liber canonis medicinae, ne riportò e tradusse le principali ricette, contribuendo a rilanciarne l’uso e a conferirle un’aura di autorevolezza.

L’approdo a Napoli

Napoli accolse la Teriaca già in epoca normanna, e la città divenne presto uno dei centri principali di produzione del farmaco. Inizialmente erano medici, alchimisti o ciarlatani a prepararla, ma il rischio di frodi e manipolazioni spinse Federico II di Svevia, con le Costituzioni di Melfi, a stabilire che solo gli speziali potessero confezionare la panacea. Questo sancì il legame tra Teriaca e l’arte della spezieria, che a Napoli trovò un luogo di eccellenza nella farmacia degli Incurabili, ancora oggi meta di studiosi e visitatori. Qui si conserva una grande urna di marmo che conteneva la preziosa mistura, tanto da colpire anche la troupe della BBC che girò il documentario Shakespeare’s Italy.

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Alchimisti all’opera nella preparazione della teriaca – stampa XVI secolo – Wikimedia source

La teriaca tra scienza e alchimia

Nei secoli successivi la fama della Teriaca crebbe, alimentata da ricettari e trattati che mescolavano rigore medico e suggestione alchemica. Uno dei testi più noti fu quello di Bartolomeo Maranta, medico e alchimista napoletano, che nel 1572 pubblicò Della Theriaca et del Mithridato libri due. Vi troviamo ricette dettagliate e quasi rituali: bisognava catturare una vipera femmina dei Colli Euganei dopo il letargo, unirla a oppio, benzoino, mirra, gomma arabica, fungo di larice, incenso, trementina, fiele di castoro, polvere d’oro, zolfo, rabarbaro e persino alla sclera di un occhio. Il risultato era un rimedio che prometteva di curare febbri maligne, coliche, emicranie, dolori mestruali, reumatismi, pazzia, asma e, soprattutto, ogni forma di avvelenamento.

La ritualità come ingrediente

Ma la sua efficacia non era soltanto affidata alla miscela di ingredienti: la preparazione era un vero e proprio rito pubblico, sorvegliato e certificato dalle autorità, che serviva a consolidarne l’autorevolezza. Non a caso, si riteneva che la Teriaca migliorasse col tempo, quasi fosse un vino pregiato, e che attraversasse fasi di “infanzia”, “adolescenza”, “vecchiaia” e “decrepitezza” prima di perdere la sua potenza.


Particolarmente diffusa fu la Teriaca veneziana, considerata superiore per la qualità degli ingredienti importati via mare, tanto che la sua fama alimentò traffici e contrabbando. Anche il Regno di Napoli, consapevole del valore economico del farmaco, impose agli speziali l’obbligo di acquistarne regolarmente una certa quantità per contrastare le contraffazioni.

Il bisogno umano di rassicurazione

La parabola della Teriaca racconta molto più di un semplice rimedio medico: riflette il bisogno umano di credere in un antidoto universale, la tensione tra scienza e magia, il peso delle istituzioni nel certificare e rendere credibile un prodotto. Con l’avanzare della farmacologia moderna, la Teriaca perse il suo ruolo nei prontuari ufficiali, soprattutto quando la regolamentazione delle sostanze stupefacenti impose restrizioni sull’uso dell’oppio, ingrediente cardine della ricetta. Ma la sua leggenda rimase viva, e ancora oggi la grande urna della farmacia degli Incurabili testimonia la fiducia che intere generazioni hanno riposto in quel farmaco miracoloso.

In fondo, ogni epoca ha bisogno della sua Teriaca: che sia un decotto, un siero, un vaccino, o un placebo che alimenta la speranza di poter vincere, almeno per un po’, la paura del male.

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