geometria di un Paese che si svuota
Una riflessione sull’Italia che perde abitanti e senso.
Le rette sono le vie dell’uomo moderno: strade, binari, fibre ottiche, corridoi digitali. Sono le infrastrutture che collegano luoghi e destini. Le verticali, invece, sono gli ostacoli che si alzano: montagne fisiche e morali, architetture del potere, burocrazie, disuguaglianze. L’Italia di oggi è un disegno deformato: le rette si spezzano, le verticali crescono. E tra una frattura e l’altra si consuma la distanza tra il Paese che avanza e quello che arretra.
La frattura tra città e paesi
Mentre le città si gentrificano e si vestono a festa per i turisti, i paesi dell’interno si svuotano. Napoli si fa vetrina, Roma si fa museo, Milano si fa passerella. Ma nell’interno, nei paesi del Sannio e dell’Irpinia, si sente solo il rumore del vento contro le imposte chiuse.
Le case si sfogliano come libri dimenticati, le strade si accartocciano, i silenzi si allungano. Non è solo la fine di un’epoca rurale: è il fallimento di una rete nazionale che non tiene più insieme i fili del suo millenario passato.
I numeri che raccontano l’erosione
La provincia di Avellino perderà oltre ottantamila abitanti entro il 2050; nel Sannio si contano meno di 260 mila residenti; in Alta Irpinia più di tremila persone in meno in cinque anni. È un’erosione lenta, ma inesorabile: il paesaggio resta, ma l’anima emigra. Ogni numero è un volto, ogni calo demografico una storia che si interrompe senza rumore.
Il paradosso delle case a un euro
In mezzo a questo vuoto, l’Italia ha trovato un modo curioso per raccontare la speranza: le case a un euro. Un euro per un sogno, dicono. Ma è il sogno di chi guarda, non di chi resta. Un euro non compra un diritto, non accende la luce né riapre una scuola. Non costruisce una rete, non genera un reddito, non restituisce dignità. È solo una moneta simbolica per coprire una ferita reale: uno Stato che non sa più essere padre e madre dei suoi luoghi. Le case non si abitano con il romanticismo di un fine settimana, ma con le infrastrutture: sanità, scuola, trasporti, lavoro, connessioni. Un paese non ha bisogno di acquirenti, ma di abitanti.
Un euro non riapre una scuola né ricostituisce una rete: serve investire in servizi e infrastrutture perché un borgo resti abitato.
La testimonianza che illumina il paradosso
Durante una conferenza, un giovane archeologo, venuto da un bellissimo borgo della provincia, un luogo di pietra, storia e silenzio, mi disse con semplicità:
«Il tuo discorso sulla gentrificazione di Napoli mi ha colpito, ma noi, nell’interno, viviamo l’opposto. Mentre voi vi svuotate di senso per eccesso di presenze, noi ci svuotiamo per mancanza di vita. È un ossimoro vivente, a pochi chilometri di distanza.»
Quella frase conteneva tutto il paradosso del Mezzogiorno contemporaneo: da un lato la città che si gonfia, diventa vetrina, si offre e si consuma; dall’altro il paese che evapora, si svuota di giovani, di servizi, di futuro. Napoli lotta contro l’invasione, i borghi contro l’oblio. Una sovrappopolazione e una desertificazione che convivono nello stesso territorio, separate da mezz’ora d’auto e da un abisso di politiche assenti.
La rete che manca
Le rette, quelle che dovrebbero unire, non esistono o sono obsolete. Manca la linea ferroviaria che porti i ragazzi dal paese all’università senza tre coincidenze. Manca la rete digitale che consenta a un architetto o a un insegnante di restare e lavorare da casa. Manca la linea del bus, la linea del pensiero, la linea politica. Restano solo le verticali: i confini invisibili tra chi vive in un luogo “centrale” e chi, poco più in là, abita già una periferia del tempo.
Oltre la nostalgia
Nel Sannio, in Irpinia, in Molise, la vera povertà non è economica ma strutturale. Mancano le rette, le connessioni, e abbondano le verticali, le interruzioni. Non servono slogan, ma investimenti mirati. Bisogna rimettere in circolo il sangue: treni che arrivano, scuole aperte, banda veloce, medici di territorio.
Il futuro dei paesi non sta nella nostalgia, ma nella funzione civile. Nessun borgo si salva perché è bello: si salva perché è utile, vivo, connesso, abitato. E quando il Sud imparerà a progettare la sua rete, non per imitare le grandi realtà urbane ma per esistere, allora le sue montagne diventeranno ponti.



