Gli innumerevoli volti della comicità
A venticinque anni dalla sua scomparsa, il teatro italiano celebra uno dei suoi interpreti più versatili e autentici.
Caleidoscopio di personaggi
Fratello minore di Eduardo e Titina, figlio del grande Eduardo Scarpetta, Peppino De Filippo seppe emanciparsi da ogni ombra, costruendo una carriera autonoma e luminosa, fatta di invenzione, rigore e umanità.
Fu un attore comico di eccezionale vena, capace di fondere il riso e la malinconia in una sintesi espressiva unica. La sua maschera, fortemente espressiva e mai artificiosa, sapeva incarnare con naturalezza personaggi delusi, svaniti, buffi, ma sempre profondamente umani. Il suo umorismo non era mai evasione: anche nella farsa più esilarante, si avvertiva un fremito di verità, una smorfia di commiserazione dietro il sorriso.
La sua tecnica interpretativa, apparentemente semplice, era frutto di uno studio minuzioso. Il personaggio e l’interprete sembravano un corpo solo, un tessuto unico. Solo chi conosceva la sua scrupolosità poteva intuire quanto lavoro si celasse dietro quella spontaneità travolgente.
La rivoluzione teatrale di Peppino
A partire dagli anni Trenta, Peppino rivoluzionò il teatro comico italiano, liberandolo dalla pedissequa imitazione del modello francese e affermando una lingua scenica nuova, più diretta, più vera. Abbandonò la circoscrizione provinciale della farsa e ne fece uno strumento di riflessione, capace di affrontare i temi essenziali dell’umanità: la miseria, la follia, l’abiezione, ma anche il candore, la saggezza popolare, la tenerezza.
La sua “revolution” artistica fu quella di chi proponeva con grazia e rigore un modo nuovo di fare teatro: educativo e distensivo, comico e poetico, sempre ancorato alla realtà. L’umanità esplosa nelle sue commedie veniva ricomposta con amore e intelligenza, senza moralismi, ma con una profonda pietà.
L’autore prolifico e sottovalutato
Peppino scrisse oltre cinquanta commedie, molte delle quali ingiustamente trascurate dalla critica. I suoi atti unici, come Spacca il centesimo — definito da Renato Simoni “un piccolo capolavoro di comicità” — sono esempi di scrittura brillante, ricchi di invenzioni, frizzi, caricature, e una ilarità spontanea e innocente.
Tra le sue opere più significative ricordiamo: La lettera di mammà, Non è vero ma ci credo, Quel piccolo campo, Quelle giornate — una commedia intensa e drammatica sulla Liberazione, tra le più potenti del dopoguerra.
Cinema, televisione e l’eredità popolare
Peppino partecipò a oltre cinquanta film, accanto a Totò, Fabrizi, Sordi, Chiari. Memorabile la sua interpretazione in Luci del varietà di Lattuada e Fellini, dove vestì i panni di un capocomico guitto. In televisione, conquistò il pubblico con il personaggio di Pappagone nella trasmissione Scala Reale, diventando un’icona della comicità italiana.
Federico Fellini lo volle nel primo episodio di Boccaccio ’70, affidandogli un ruolo d’impronta tartufesca. E una delle sue interpretazioni più intense fu quella di Arpagone ne L’Avaro di Molière, cui seppe dare una malignità astuta e memorabile.
Un’eredità che resiste
Peppino De Filippo rimane, ancora oggi, tra gli attori più saldamente ancorati alla tradizione del teatro italiano. La sua arte, fatta di leggerezza e profondità, di ironia e malinconia, rappresenta un patrimonio culturale prezioso.
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