
La camorra è un fenomeno criminale profondamente radicato nella storia di Napoli, per secoli capitale del meridione d’Italia. In questo contesto segnato da turbolenze politiche e sociali, la camorra si è affermata come un sistema di potere parallelo, fondato sul controllo del territorio e su una rete di intimidazioni e scambi con la popolazione. In questo articolo ripercorriamo l’origine della camorra, le sue evoluzioni storiche e il suo impatto sulla società napoletana.
Che cos’è la camorra e perché non si pronunciava il suo nome
La parola “camorra” ha una storia controversa. In passato, sia chi combatteva questo fenomeno sia chi ne faceva parte evitava di usarla. I legislatori temevano di legittimare un’organizzazione criminale, mentre gli affiliati preferivano definirsi “nobili della plebe”, dispensatori di giustizia nei vuoti lasciati dallo Stato.
L’etimologia incerta del termine “camorra”
Secondo Isaia Sales, “camorra” era inizialmente sinonimo di estorsione. Le ipotesi etimologiche sono molteplici:
- Dal termine arabo kumar, che indica una rissa o il gioco d’azzardo (citato anche nel Corano).
- Dalla “compagnia di gamurra”, milizia mercenaria cagliaritana del XIII secolo.
- Dalla “guarduna”, sodalizio criminale spagnolo citato da Cervantes.
- Dal gioco della morra, come attesta una prammatica borbonica del 1735.
Origine della Camorra: Osso, Mastrosso e Carcagnosso
Una leggenda popolare racconta che tre cavalieri, tre fratelli galiziani – Osso, Mastrosso, Carcagnosso – furono condannati per aver ucciso un signorotto che aveva violato l’onore della sorella. Fondarono, nel carcere duro dell’isola Favignana, le tre organizzazioni criminali: camorra, mafia e ‘ndrangheta. Inoltre ne scrissero il regolamento, il cosiddetto “Frjeno”. Anche se si tratta di un mito, è storicamente accertato che la camorra nacque nei penitenziari borbonici nel XIX secolo.
La nascita nelle carceri e l’espansione urbana
La camorra prese forma all’interno di carceri come la Vicaria, Santa Maria Apparente, Nisida, Procida. E’ accertato storicamente che la camorra organizzata nasce nel XIX secolo all’interno degli istituti di pena borbonici. Favorita dalle restrizioni durissime nei confronti dei criminali e dal contatto tra questi e altre forme di associazionismo dalle quali la camorra prese in prestito comportamenti e regole. La convivenza forzata dei delinquenti comuni con massoni, carbonari nelle celle servirono da spunto. I galeotti comuni iniziarono anche a copiare i rituali essoterico-massonici per l’affiliazione dei nuovi adepti alla setta. Dando vita a una struttura con regole, riti e gerarchie. . I capi della camorra carceraria chiedevano soldi per comprare “l’uoglio da’ làmpa”, ovvero per comprare combustibile per il lume votivo presente in ogni cella, un mero pretesto estorsivo celato dietro una falsa religiosità. Chiunque, nobile o mendicante, appena varcata la soglia della cella, diveniva vittima dell’estorsione sistematica della camorra.
Dalla cella al quartiere: l’organizzazione camorristica nell’Ottocento
Durante il decennio francese (1806–1815), la riforma urbana promossa da Murat divise Napoli in dodici quartieri. La camorra si riorganizzò seguendo questa divisione, dando vita a una struttura piramidale:
- Capintesta: capo supremo
- Capintriti: capi quartiere
- Contaiuoli: tesorieri alfabetizzati
- Società Maggiore: membri effettivi
- Società Minore: aspiranti, chiamati “giovanotti onorati”
Secondo Nicola Nisco, a metà Ottocento la camorra funzionava come uno stato parallelo, con rapporti con la polizia, la politica e, forse, la stessa corte borbonica. La setta aveva i suoi tribunali, chiamati “Mamme” e “Gran Mamma”, che ai traditori infliggevano pene terribili che andavano dal barbaro sfregio fino all’esecuzione capitale. La reazione degli abitanti verso questa organizzazione criminale era quasi costantemente di indulgente tolleranza. Infatti, molto lentamente i napoletani finirono per abituarsi alla camorra, la consideravano l’ultima delle loro sofferenze
La tolleranza sociale e l’appoggio alla monarchia
I governi borbonici si mostrarono spesso indulgenti con la camorra, concentrandosi invece nella repressione dei liberali. La “Bella società riformata” si offriva persino di reprimere moti rivoluzionari, dimostrandosi legittimista e utile al mantenimento dell’ordine. Del resto più volte i capi della camorra si erano dimostrati fieri legittimisti mettendosi a disposizione della monarchia per reprimere i moti rivoluzionari del 1820/21 e del 1830. Ma Francesco I di Borbone forse non conosceva il motto canticchiato dai membri dell’“onorata società”:
Nui non simmo cravunare,
Nui nun simmo realiste,
Nui facimmo ‘e cammurriste
Iammo ‘nculo a chillo e a chiste
Il voltafaccia opportunistico
E infatti quando il generale Garibaldi, il 7 settembre, entrò a Napoli seduto comodamente in treno, senza sparare un colpo, con pochi uomini al seguito. Ad accoglierlo Liborio Romano, Ministro di Polizia e Salvatore De Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”. Dal balcone di Palazzo Doria D’Angri proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo. Tutto i capintriti della Camorra erano schierati in prima fila con la coccarda tricolore. (n.d.r. Michele “o chiazziere”, Nicola Jossa, Ferdinando Mele, Nicola Capuano e tanti altri). Lo storicista Francesco Benigno, nel suo saggio “la mala setta 1859/1878” racconta come Il ministro Liborio Romano “garantì il passaggio dal regime borbonico a quello garibaldino assicurando l’ordine pubblico grazie ad un esplicito accordo con i principali boss della malavita organizzata”. La Camorra, schierandosi apertamente al fianco dei liberatori, assicurò il mantenimento dell’ordine tenendo a freno la folla scalmanata della capitale duosiciliana. Inaugurando così di fatto quel dialogo ininterrotto tra lo Stato e le mafie che perdura ancora oggi.
Paolo Mieli nel libro “In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia” (Rizzoli, 2017) aggiunge che di camorristi e mafiosi si parlava già prima del 1860,
“si trattava però di malavitosi di infimo rango al servizio di più padroni, la cui attività era confinata nelle carceri e nei quartieri più malfamati delle città meridionali.”
Dopo l’unità italiana le Mafie diverranno quel cancro inestirpabile nella travagliata storia del nostro Paese.
Conclusione
L’origine della camorra ci mostra come un’organizzazione criminale possa evolversi adattandosi alle trasformazioni sociali, economiche e politiche di un territorio. Studiare le sue origini significa anche comprendere le fragilità dello Stato e il ruolo delle narrazioni popolari nella costruzione del consenso criminale.




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