
Stop Femminicidio di Antonio Nacarlo
il vuoto dei non-luoghi
Martina aveva quattordici anni. È morta in un casolare abbandonato, alla periferia del tempo e dello spazio, nel silenzio di un’Italia che parla troppo e ascolta poco. Lì, nella solitudine di un non-luogo – simbolo tragico di un presente che ha smesso di prendersi cura – si è consumato l’ennesimo femminicidio. Il carnefice: Alessio Tucci, un ragazzo appena più grande. Un coetaneo. Una storia che ha l’odore della rassegnazione, della resa senza combattere.
Quel casolare – rudere dimenticato, sradicato dal tessuto urbano e umano – diventa la metafora perfetta di ciò che non vogliamo ammettere: l’assenza dello Stato, della Scuola, della Comunità, nel presidio dell’adolescenza. Perché non basta avere leggi severe – e l’Italia, in materia di femminicidio, ha una delle legislazioni più avanzate e rigorose d’Europa – se a queste leggi non segue una cultura, un’educazione, un investimento reale nella prevenzione. Quella vera, che si costruisce negli anni, tra i banchi e le relazioni, non nei talk show del giorno dopo. Martina è morta in un vuoto, e quel vuoto ci riguarda tutti.
Non si tratta solo di chiedere pene più dure – facile, immediato, consolatorio – ma di riconoscere che il crimine è solo l’epilogo di un racconto malato che inizia molto prima, tra famiglie assenti, relazioni tossiche, messaggi culturali distorti e silenzi istituzionali.
Non si tratta di “amore malato”, come troppi titoli di giornale continuano a scrivere. Si tratta di potere, di dominio, di una cultura patriarcale che non è mai stata scardinata davvero. Si tratta di un modello tossico di mascolinità, alimentato ogni giorno dalla televisione, dai social, da famiglie che non sanno (o non vogliono) educare i figli maschi al rispetto, al sapersi ritirare dopo un NO!.
E allora diciamolo chiaramente: ogni volta che si nega l’educazione sentimentale nelle scuole, si fa un passo verso il prossimo femminicidio. Ogni volta che si tagliano i fondi ai centri antiviolenza, si arma la mano dell’assassino. Ogni volta che si riduce il dibattito a slogan (“ideologia gender”, “genitori esautorati”), si nasconde la testa sotto la sabbia.
E in questo silenzio, pesa la voce del Ministro dell’Istruzione, che si oppone alla presenza delle associazioni contro la violenza di genere nelle scuole. È una scelta grave. Perché è proprio lì, nella scuola, che bisognerebbe investire ogni energia: per riconoscere i segnali, per educare alle emozioni, per rompere la catena del possesso e del dominio che troppe volte si confonde con l’amore. Martina non tornerà. Ma può ancora insegnarci qualcosa, se lo vogliamo. Oppure possiamo limitarci all’ennesima fiaccolata, all’ennesima targa, all’ennesimo minuto di silenzio.
L’Italia è piena di non-luoghi: dimenticati, come dimenticate sono le vite delle ragazze che si cerca di ridurre a numeri, a casi isolati, a tragiche fatalità. Ma ogni una di loro ha una storia, e ogni storia una responsabilità. La responsabilità di chi non ascolta, di chi non educa, di chi chiude le porte proprio quando bisognerebbe aprirle. Martina non tornerà. Ma se almeno la sua morte servisse a riportare nel dibattito pubblico la necessità di un investimento vero – culturale, educativo, istituzionale – allora il suo nome, e il suo volto, non saranno stati consegnati solo alla cronaca nera.
Smettiamola di cercare mostri. Guardiamoci allo specchio.

Martina non tornerà
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