Il mito del “Risorgimento”

Il Risorgimento italiano è stato per oltre un secolo raccontato come una grande epopea patriottica, un mosaico di eroi, battaglie e sacrifici che portarono all’Unità. Eppure, dietro quell’affresco idealizzato, la storiografia contemporanea ha iniziato a restituire un quadro diverso, più complesso, fatto di contraddizioni, promesse mancate e violenze spesso rimosse.

Questo articolo non vuole schierarsi con nostalgie borboniche o con visioni ideologiche: noi siamo democratici convinti, ma crediamo che una nazione matura debba avere il coraggio di fare i conti con la propria storia, anche nelle sue pagine più scomode.

Un viaggio tra documenti, cronache d’epoca e testimonianze che raccontano l’altra faccia dell’Unità d’Italia. Una faccia dove la retorica dei “liberatori” si intreccia con episodi di repressione, accordi sottobanco con le mafie nascenti, illusioni tradite e un Sud che da speranza di riscatto si ritrovò presto terra di conquista.

Revisione storica del Risorgimento

Fin dalla fine del XIX secolo, storici come Alfredo Oriani e Francesco Saverio Nitti iniziarono a mettere in discussione il Risorgimento come semplice narrazione patriottica. Oriani denunciava il processo come una “conquista regia” mirata a costruire uno Stato forte senza sostegno popolare; Nitti evidenziava i costi economici e sociali subiti dal Mezzogiorno

Negli anni successivi, la storiografia revisionista si è consolidata, recuperando l’analisi gramsciana della “rivoluzione passiva” e mettendo in luce i conflitti sociali che alimentarono resistenze diffuse nel Sud.

lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti”   

Antonio Gramsci, da L’Ordine Nuovo, 1920 

Il mito dei mille

“In mille partirono da Quarto per liberare il Sud dal vile oppressore ecc. ecc.” Una favola raccontata per anni ma mai divenuta realtà. La spedizione dei mille fu tutt’altro che improvvisata e mal equipaggiata, anzi. Il padre della patria Mazzini esule in Inghilterra, aveva stretto alleanze importanti con molti finanziatori vicini alla massoneria. Parte di quei fondi che servirono per armare la spedizione garibaldina arrivavano proprio dai commercianti inglesi di zolfo e salnitro (indispensabili allora per la preparazione della polvere da sparo). Materie prime che si trovavano in abbondanza sull’isolotto Ferdinandeo riaffiorato dal mare nel 1831 al largo di Sciacca.

La corruzione

Precedentemente allo sbarco si era provveduto alla corruzione degli ufficiali borbonici al comando dei trentamila uomini di stanza sull’isola. Anche i mafiosi, forza occulta presente capillarmente sul territorio, vennero foraggiati soprattutto per evitare le rivolte contadine ed i linciaggi dei “fratelli liberatori”, come già avvenuto nel caso dello sbarco capitanato dai fratelli Bandiera. 

L’eccidio di Bronte

Nella Sicilia liberata Garibaldi istituì una dittatura militare nel nome di Vittorio Emanuele re d’Italia, promettendo ai contadini di donare loro le terre strappate alla nobiltà latifondista, in cambio della loro insurrezione contro le vecchie istituzioni. Promesse puntualmente disattese che sfociarono in rivolte represse barbaramente nel sangue. Uno dei casi più noti, anche grazie alla novella di Giovanni Verga “Libertà”, è quello di Bronte. La piccola città alle pendici dell’Etna, il 2 agosto 1860, fu teatro dell’insurrezione popolare che sfocio nell’omicidio di 16 persone e nell’incendio di parte dell’abitato. Le vittime furono il feudatario e la sua famiglia.

Garibaldi per punire i rivoltosi inviò sul luogo un battaglione comandato da Nino Bixio. Il tribunale misto di guerra, in un frettoloso processo durato meno di quattro ore, giudicò ben 150 persone e condannò alla pena capitale l’avvocato Nicolò Lombardo insieme con altre quattro persone: Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri e Nunzio Samperi. La sentenza venne eseguita mediante fucilazione l’alba successiva. Per ammonizione, i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti.

  «Dopo Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi, ed altri villaggi lo videro, sentirono la stretta della sua mano possente, gli gridarono dietro: Belva! ma niuno osò muoversi»   

(Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d’uno dei Mille)   

Garibaldi arriva a Napoli

Garibaldi, il 7 settembre, entrò a Napoli seduto comodamente in treno, senza sparare un colpo, con pochi uomini al seguito. Ad accoglierlo Liborio Romano, Ministro di Polizia e Salvatore De Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”. Dal balcone di Palazzo Doria D’Angri proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo. Tutto i capi intriti (ras) della Camorra erano schierati in prima fila con la coccarda tricolore.

Lo storicista Francesco Benigno, nel suo saggio “La mala setta 1859/1878” racconta come Il ministro Liborio Romano “garantì il passaggio dal regime borbonico a quello garibaldino assicurando l’ordine pubblico grazie ad un esplicito accordo con i principali boss della malavita organizzata” (n.d.r. Michele “o chiazziere”, Nicola Jossa, Ferdinando Mele, Nicola Capuano e tanti altri). 

L’evoluzione delle Mafie

La camorra, schierandosi apertamente al fianco dei “liberatori”, assicurò il mantenimento dell’ordine tenendo a freno la folla scalmanata della capitale duosiciliana. Inaugurando così di fatto quel dialogo ininterrotto tra lo Stato e le mafie che perdura ancora oggi.

Paolo Mieli nel libro “In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia” (Rizzoli, 2017) aggiunge che di camorristi e mafiosi si parlava già prima del 1860. “Si trattava però di malavitosi di infimo rango al servizio di più padroni, la cui attività era confinata nelle carceri e nei quartieri più malfamati delle città meridionali.”

Dopo l’unità italiana le Mafie diverranno, di fatto, una macchia nera indelebile e un cancro inestirpabile nella travagliata storia del nostro Paese. 

Guai ai vinti

Successivamente alla completa annessione del meridione, le condizioni di vita nel ex regno borbonico (già non floride) peggiorarono ulteriormente. La gran parte dei militari borbonici, che rifiutarono l’arruolamento nelle fila dell’esercito unitario, furono arrestati e deportati nelle carceri lagher sulle Alpi (San Maurizio Canavese e la fortezza di Fenestrelle su tutte).

Racconta Gigi Di Fiore: “A centinaia però non riuscirono a tornare dai campi del nord, dove trovarono la morte. A Fenestrelle, la calce viva distruggeva i cadaveri di chi non ce l’aveva fatta a superare il rigore del freddo ed a sopportare la fame (…). L’ospedale della fortezza era sempre affollato. E, nei registri parrocchiali, vennero annotati i nomi dei soldati meridionali deceduti dopo il ricovero in quella struttura sanitaria (…). Ma i nomi registrati non corrispondevano a tutti i prigionieri morti in quegli anni. Per motivi igienici ed essendoci difficoltà a seppellire i cadaveri, molti corpi vennero gettati nella calce viva in una grande vasca, ancora visibile, dietro la chiesa all’ingresso principale del forte.” 

I preconcetti dei “Padri della Patria”

Nel 1864 il celebre politico Massimo d’Azeglio scrisse: «Si è fatta l’Italia senza averla mai studiata né conosciuta. Ora scontiamo noi l’ignoranza di Cavour delle varie parti della penisola. Voler agire su un Paese senza averlo neppure veduto». In effetti, fino a quel momento, la maggior parte dei politici piemontesi non avevano mai visitato le regioni del Sud.

Persino Camillo Benso, conte di Cavour, che si vantava di aver viaggiato in lungo e in largo per l’Europa, non si era mai spinto più a sud di Firenze, e oltre l’Arno non andò mai. E al ritorno disse al suo segretario: «Meno male che abbiamo fatto l’Italia prima di conoscerla».

Luigi Carlo Farini Il 6 novembre 1860 viene nominato da Vittorio Emanuele II “Luogotenente generale delle provincie napoletane” In un dispaccio inviato il 27 ottobre al presidente del Consiglio, Cavour scrive:

«Ma, amico mio, che paesi son mai questi. Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica. I beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù civile! “ 

Il mito del Risorgimento
Il mito del Risorgimento – illustrazione di Antonio Nacarlo

La guerra civile mai racontata

  Negli stati del ex regno si verificarono avvenimenti che portarono verso la guerra civile. La delusione creata dal passaggio garibaldino prima e dall’accentramento amministrativo poi erano i motivi più recenti di questo fenomeno.

La situazione si aggravò subito dopo la vendita all’asta dei beni demaniali ed ecclesiastici. I compratori appartenevano prevalentemente alla nuova borghesia rurale che si stava rivelando ancora più avara e tirannica dei vecchi padroni. L’aggravarsi delle condizioni dei contadini causò la ripresa dei disordini.

In diverse regioni contemporaneamente, ex soldati, renitenti alla leva obbligatoria (le nuove leggi imponevano 5 anni di ferma), sbandati si radunarono in bande armate. Improponibili in campo aperto, scelsero la guerriglia per colpire le armate piemontesi.  

Il Generale Cialdini e gli “affricani” 

Lo Stato italiano rispose con una vera e propria guerra a questa rivolta sociale che, nelle sue manifestazioni ampie, durò oltre quattro anni: alle truppe già stanziate nel Sud al comando del generale Cialdini, il governo ne aggiunse altre, cosicché, nel 1863 ben 120.000 soldati erano impegnati nella lotta al brigantaggio: quasi la metà dell’esercito italiano.

Nello stesso anno venne dichiarata la legge marziale: processi sommari fucilazioni, incendi e saccheggi furono gli strumenti impiegati da Cialdini nell’opera di repressione, non solo contro i briganti, ma contro tutti i loro fiancheggiatori. Migliaia di morti in scontri armati e altrettante pene capitali o alla prigione a vita furono il tragico bilancio finale.   

Nel 1865 il brigantaggio era stato praticamente sconfitto. Lo stato aveva vinto la sua guerra. Dopo la repressione e la legge marziale, la frattura tra il Sud ed il resto dell’Italia non fece che approfondirsi. 

Una questione nazionale ancora aperta

La repressione militare e le politiche centralizzatrici accentuarono il divario tra Mezzogiorno e resto d’Italia. Il fenomeno del brigantaggio e la risposta statale lasciarono un’eredità di ostilità istituzionale e sfiducia diffusa. Il Presidente Napolitano, nel 2011, definì il brigantaggio come una forma di “pericolo legittimista” che fu estirpato, ma a caro prezzo per la relazione tra Stato e Sud

Studi più recenti svolti dalla prestigiosa Università di Cambridge inquadrano il brigantaggio come fenomeno complesso, tra reazione popolare, contrapposizione politica e rivendicazione territoriale. Non solo il crimine, ma anche strategia di sopravvivenza sociale in zone marginalizzate. Si tratta di una guerra irregolare, che sfugge alla dicotomia tra “banditi” e “soldati”

📚 Fonti principali di riferimento

  1. Wikipedia – Interpretazioni revisionistiche del Risorgimento
    👉 it.wikipedia.org/wiki/Interpretazioni_revisionistiche_del_Risorgimento
  2. Wikipedia – Revisionism of Risorgimento (in inglese, panoramica generale)
    👉 en.wikipedia.org/wiki/Revisionism_of_Risorgimento
  3. Wikipedia – Post-unification Italian brigandage (sul brigantaggio dopo l’Unità)
    👉 en.wikipedia.org/wiki/Post-unification_Italian_brigandage
  4. Wikipedia – Southern Question (sulla “questione meridionale”)
    👉 en.wikipedia.org/wiki/Southern_question
  5. Matteo Ruzzante – Brigandage and the Monarchy (articolo accademico, PDF)
    👉 matteo-ruzzante.com/assets/pdf/Brigandage_Monarchy_Published.pdf
  6. The Collector – Brigantaggio: How Southern Italy Responded to Unification
    👉 thecollector.com/brigantaggio-southern-italy-respond-unification
  7. Cambridge University Press – Brigantaggio revisited: Historiographical experiences and prospects for research
    👉 resolve.cambridge.org/core/journals/modern-italy/article/brigantaggio-revisited-historiographical-experiences-and-prospects-for-research/7068A033B5DBC8F4A2B325E09282D6F1
  8. Wikipedia – Carmine Crocco (brigante simbolo della resistenza)
    👉 en.wikipedia.org/wiki/Carmine_Crocco

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3 commenti

  1. […] Il mare del golfo è scuro e silenzioso. Una scia di fumo si dissolve nell’aria tiepida mentre il piroscafo “Ercole” naviga sicuro verso Napoli. È la notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, appena tredici giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia. La nave, appartenente alla compagnia Calabro-Sicula, ha lasciato Palermo da poco più di un giorno. A bordo, oltre all’equipaggio e a decine di passeggeri, viaggia un giovane ufficiale garibaldino, scrittore e idealista: Ippolito Nievo. Con lui, nelle stive, dieci casse di documenti e registri contabili destinati a far luce sui fondi della spedizione dei Mille. […]

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