Ci sono voci che non appartengono solo a chi le possiede. La voce di Fausta Vetere, da oltre cinquant’anni anima della Nuova Compagnia di Canto Popolare (NCCP), è una di queste.
È una voce che non canta soltanto: abita le stanze della memoria, custodisce le tradizioni, accende immagini di una Napoli antica eppure sempre attuale.
Fausta nasce artisticamente con la musica classica, studiando al Conservatorio di San Pietro a Majella. Ma l’incontro con Roberto De Simone segna il destino: scoprire e ridare vita a tammurriate, villanelle, moresche.
Una scelta che non è solo musicale, ma esistenziale: tornare alle radici musicali, trasformando un patrimonio popolare quasi dimenticato, in linguaggio universale.
La Nuova Compagnia di Canto Popolare
Fondata nel 1967 dallo stesso maestro De Simone con Eugenio Bennato, Carlo D’Angiò e Giovanni Mauriello, la NCCP si proponeva come progetto di ricerca filologica del folklore campano. Fausta entra nel gruppo poco dopo, consolidando il suo ruolo di voce centrale ed espressiva .
Il successo che il gruppo ottiene al Festival dei Due Mondi nelle edizioni del 1972 e del 1974, e soprattutto del 1976 con La gatta Cenerentola, segna il suo lancio internazionale.
Il loro impatto fu travolgente: la loro proposta artistica risuonava come qualcosa di radicalmente autentico e nuovo, pur se secolare.
Un canto antico in un’epoca di scontro
Negli anni di piombo, in Italia, la cultura ufficiale era dominata da sperimentazioni psichedeliche e rock impegnati. Ma la NCCP oppose a tutto questo un canto radicato nelle ancestrali genealogie contadine e nella musica colta di nicchia: un canto che non si allineava alle tendenze globali, ma che risuonava delle lotte popolari e dei dolori secolari del Mezzogiorno.
Le proteste degli operai somigliavano ai conflitti seicenteschi: sfruttamento, privazioni, povertà. E nella voce di Fausta Vetere tutto questo emerge: non solo come eco, ma come urgenza autentica, una memoria che non si è spezzata mai . La NCCP diviene subito il fiore all’occhiello di quel movimento musicale e sociale che chiamarono Napule’s Power e che vide al proprio interno molti grandi leader della musica italiana e internazionale.
La sacralità del canto
Non è mai stato intrattenimento, quello della NCCP. È rito, memoria, resistenza.
Fausta Vetere lo ribadisce con forza in una recente intervista alla Repubblica:
«La taranta è una cosa sacra».
Non semplice spettacolo, ma eco di gesti antichi, voce di donne e uomini che hanno trasformato dolore e speranza in canto.
E così ogni concerto della Nuova Compagnia diventa un atto collettivo: tamburi che battono come un cuore, corde che vibrano come fili di destino, voci che si intrecciano come mani che non vogliono lasciarsi.
La voce: emozione filtrata da radici
Fausta Vetere non è una soprano belcantista: è voce del popolo raccolta e trasformata, con una tessitura vocale che unisce melismi sottili ai ritmi sincopati delle tammurriate.
Decenni di palco non hanno sciupato la sua intimità vocale, anzi: mantenere sintonia tra potenza e dolcezza è la sua forza. La voce di Fausta Vetere sa essere dolce come una preghiera e feroce come un lamento ancestrale .
«Napulitane»
Estratta dal doppio album celebrativo “50 anni in buona Compagnia” (2016), Napulitane è un brano inedito che racconta la gente semplice, la fatica quotidiana, e soprattutto la Napoli che resiste. Nel video ufficiale, realizzato con ospiti come Eugenio Bennato, Lino Vairetti e altri, la NCCP rende omaggio alle radici popolari con un linguaggio sonoro raffinato e attuale . Nel testo c’è una bellissima sottotraccia cantata da Fausta che sembra un dialogo tra la cantante e la città. Napoli come interlocutrice privilegiata. Sorella o figlia da incoraggiare, amica o musa. Mai ingrata matrigna. Questo cercatelo altrove…
Ero piccerella, nun avevo stelle da purtare ‘mpiett’a me… Ero piccerella ‘nziem’ a te!
E quanta canzone sott’e pucessione sò passate annanz’a me,. Nun avè appaura sient a me!
Ah rosa mia bella! Pare ‘na nennela e sì proprio ‘o vuo assapè: nun c’è sta nisciuno comm’a te!
Fronne d’o limone, luce ‘e chist’ammore, io t’aspetto ancora ‘cca… ‘Mprestame ogni sera pe’ sunnà.
