Don Peppino Diana vittima della Camorra

Don Peppino Diana, disegno di Antonio Nacarlo
Don Peppino Diana, disegno di Antonio Nacarlo

È sabato mattina, presto. Un piccolo gruppo di operatori ecologici è appostato vicino a un’edicola. Leggono e commentano la notizia del giorno: l’omicidio di un loro collega. In un appartamento poco distante, una donna rassettava casa ascoltando la radio a tutto volume:

Scusame Forse era meglio stasera si nun ce vedevem’ Ho esagerato lo ammetto nun m’eva permettere Io che te saccio int’o core tu comme si fragile…

Nel frattempo, un uomo attraversa lo spiazzo e si avvia verso un edificio in cemento armato. È Don Peppino Diana. «Oggi è la festa di San Giuseppe», pensa mentre si avvicina alla porta della chiesa moderna. «È una bella giornata. Verrà sicuramente qualche faccia nuova, oltre alle solite vecchiette». Sono le sette del mattino. Ha già bevuto due caffè e vorrebbe fumare un toscano, ma rimanda quel rituale a dopo, quando si rilasserà al bar della piazza. Oggi è anche il suo onomastico. Per l’occasione ha preparato un piccolo buffet per gli amici di sempre.

don Peppino Diana,Un uomo e un prete vero

Dalle tasche dei jeans estrae un mazzo di chiavi, legate da un portachiavi a forma di tao. Lo guarda e rivede nella mente le immagini dei suoi boy-scout liberi nei boschi, lontano dal grigiore del cemento e dell’asfalto. Il rumore di un carretto lo distrae. Il vecchietto curvo gli ricorda suo padre Gennaro. Una volta gli chiese: «Bà, quando mi accorgerò di essere diventato n’omm?» «Quando saprai portare da solo la tua croce. E anche quella di chi ti vuole bene… Ti deve crescere ‘o pilu n’copp ‘o stommaco, Peppì.» Entra in chiesa. Due mandate verso destra, la porta si apre. La vista dell’altare lo commuove ogni volta. La vetrata illumina il sacramento, e gli ricorda perché ha scelto di diventare sacerdote. Don Peppino Diana si prepara alla messa. Accende le luci e si dirige verso la sacrestia. La madre lo ha ammonito quella mattina: «Statt’accort, Peppì. Quelli che stai sfruculiando non rispettano nemmeno la tonaca…» È preoccupata. E ha ragione. Don Peppino ha sfidato la camorra di Casal di Principe. Ha scritto, insieme ai sacerdoti della forania, una lettera forte, un messaggio alla sua gente:

“Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie. Come pastori della Forania di Casal di Principe, siamo chiamati a essere ‘segno di contraddizione’. A educare alla povertà evangelica, alla solidarietà, alla verità.”

Un testo ispirato al profeta Isaia. Un messaggio potente, che scuote le coscienze.

Mentre si prepara, arriva l’amico fotografo, Augusto Di Meo: «Peppì, stai con la testa tra le nuvole! Questa è una guerra. Dobbiamo stare attenti!» «Devono stare attenti loro, Augù. La parola uccide più di coltelli e pistole…» Le suore iniziano a pregare il rosario. Sono le 7:28. Quasi ora di messa. Don Peppino Diana si avvia verso l’altare, recitando Isaia:

«Per amore del mio popolo non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada.»

Dal fondo della chiesa arriva un uomo. È alto, lo sguardo ansioso. «‘O prevete chi è?» Don Peppino si indica il petto. Come San Matteo nel quadro di Caravaggio. Cinque colpi di pistola lo colpiscono. Alla faccia, al collo, alla mano. Muore tra il pulpito e l’altare. Ha 35 anni.

Fine?

Poco tempo giorni si è celebrato il trentennale dell’omicidio di Don Peppino Diana. Lo ricordiamo con le parole del Presidente Mattarella, durante la consegna della Medaglia d’oro al valore civile:

“Parroco in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schierarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva ad officiare la messa. Nobile esempio dei più alti ideali di giustizia e di solidarietà umana.”

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